2016 anno bisesto

domenica 15 giugno 2014

Historia magistra vitae? Verità, manipolazioni, oblii : la fine del romanzo storico - 1: la domanda.



Willem de Kooning - Rotterdam

Dov’è finito il romanzo storico italiano? O meglio, facciamoci  prima la domanda “a monte” : dov’è finita la Storia in Italia?


Come ribadisce bene anche Franco Cardini, la Storia, (e io aggiungo anche la Storia dell’Arte, della Musica, del Costume che non sono altro che un arricchimento della prima) come materia di ricerca e di studio  è quasi del tutto scomparsa, specialmente nelle scuole, o meglio è spesso usata per fini diversi dalla sua vera vocazione  : Purtroppo, anche la Storia come materia di studio, resa “noiosa” da una pletora d’insegnanti inadeguati, è sparita da quel bagaglio di conoscenze imprescindibili per un uomo che possa dire di disporre di una “cultura… (omissis)… E stendiamo un velo pietoso sia su chi vorrebbe che certi fatti non venissero indagati affatto e su chi ha reso la materia una sorta di necrologio, una contabilità di morti da addebitare all’avversario ideologico, a lode e gloria eterna di un “presente” liberaldemocratico concepito come ‘sospeso’ al di fuori dal tempo e perciò al di fuori di ogni “giudizio storico”…. [1]

Poiché ha la nomea di “materia noiosa”, lo studente medio italiano e anche l’italiano, in generale, non ne coglie più l’importanza fondamentale, ne tralascia totalmente lo studio, se ne fa un vanto della sua ignoranza, non capendo di cancellare così le sue radici e, con loro,  il suo essere sé stesso.
Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo dice Primo Levi, e Paolo Tognina[2] ricorda il filosofo Bernard Henry-Lévy che ha scritto: “Sapete come si fa a uccidere un uomo due volte? Dimenticando di averlo già ucciso una volta
Orwell è ancora più preciso :” Chi controlla il passato controlla il futuro e chi controlla il presente controlla il passato”.
E’ forse in quest’ultima frase che evidenzia drammaticamente la spiegazione di questo fenomeno presente da tempo in maniera macroscopica in Italia, ma di cui non fu  indenne l’ Unione Sovietica  e, ora, da qualche tempo, anche l’Europa del “politically correct”  con il resto del mondo.

E questo lo si vede dal diradarsi, se non dallo sparire, del romanzo storico, in favore di un  discutibile genere letterario : la “fantastoria”, dove, i romanzi e le fiction vengono ambientati in vaghi scenari, dove sono elaborate teorie  storiche, spiegazione degli eventi umani, con dati ed episodi del tutto privi di obbiettività scientifica e fondamento reale, in favore di teorie inventate e del tutto prive di verità.
Isaac Asimov, un fisico e grande scrittore di fantascienza, ha messo  invece in evidenza, nel suo grande ciclo della “Fondazione” (un classico capolavoro della fantascienza), come sia determinante la conoscenza approfondita e puntuale della storia.

Egli ha compiuto l’operazione inversa di quella che oggi la “fantastoria” si propone: nel mondo immaginario di una Federazione Galattica, lontana anni luce dalla nostra epoca, egli ci presenta la geniale figura di Hari Seldom, Primo Oratore  della Federazione. Hari è un professore di “Psicostoriografia”, una sorta di scienza della Storia che permette di prevedere gli eventi futuri, attraverso l’analisi dettagliata e scientifica dei  fatti del passato e permette di condurre a buon fine - verso la verità dell’uomo -  le ricerche, gli obbiettivi e le sorti dell’intera galassia.

Asimov, russo per nascita e americano d’adozione,  non ignorava quello che accadeva in quegli anni nell’Unione Sovietica, dove, ciclicamente, si spedivano a casa di ogni possessore dell’Enciclopedia Sovietica le pagine che occorreva sostituire  per una “corretta” visione di cronaca e storia, e volle, così, in quei lontani anni, sottolineare l’importanza della verità storica.

Ma oggi qualcosa sta cambiando, e in peggio.
I diversi concetti di storia presenti finora nella storiografia [3]potevano essere sintetizzati nelle due grandi visioni della storia: o come processo in continua evoluzione o come processo compiuto di cui il presente è il punto di arrivo o di arresto. Nel primo caso la storiografia era concepita come "ricerca", mentre nel secondo caso diventava "archivio dei fatti" o "raccolta".

Per Francis Fukuyama[4] invece ciò non è corretto: nella sua pubblicazione "La fine della Storia" essa viene concepita come storia unidirezionale e universale dell'umanità, una pretesa di rintracciare nella successione degli eventi una loro profonda finalità: cicli e discontinuità degli eventi vengono compresi in questa concezione complessiva della storia nel suo insieme: i motori del processo storico sono lo "spirito della scienza", ossia la tendenza dell’uomo a evolvere il proprio modo di vivere attraverso le conoscenze e le scoperte tecnologiche, e il "desiderio di riconoscimento", ovvero la sua vocazione a vedersi riconosciuti la sua identità e i suoi diritti da parte dei propri simili. Fukuyama vede nella forma di stato ispirata al liberalismo democratico come  l’ultima possibile per l’uomo, e anche la più perfetta: essa non può infatti degenerare in niente di peggio, ed essa stessa non è degenerazione di nessun’altra forma politica. La storia si muove verso il progresso e il progresso tecnologico e industriale è stato assicurato, guidato ed indirizzato dal  capitalismo  in ambito economico. Il capitalismo ha il suo corrispettivo politico nella democrazia liberale, sia perché questa è meglio compatibile con il governo di una società tecnologicamente avanzata, sia in quanto l'industrializzazione produce ceti medi che esigono la partecipazione politica e l'uguaglianza dei diritti. (Volendo volgarizzare e semplificare al massimo, un ritorno all'ottocentesco concetto delle "magnifiche sorti e progressive...". Positivismo insomma, con un pizzico di tecnologia futuribile... )

Da queste ed altre considerazioni del suo saggio filosofico, Fukuyama arriva a fondere la  Storia in un relativismo culturale per cui nessuno dei diversi modi di vivere e di pensare propri dei diversi habitat umani è superiore ad un altro e non esiste una "cultura umana", ma diverse culture proprie dei diversi ambienti: radici, conoscenze, culture, costumi, religioni vengono azzerate in un magma indistinto dove la storia universale è il cammino unidirezionale e tendente al progresso che tocca tutti i popoli.

Se davvero l’Arte, figurativa e non, molto spesso intuisce e preannuncia, prima che accada, o rappresenta nella sua essenza, un momento della storia umana, nulla meglio dell’arte informale di un Dubuffet, di un Fontana, di un Burri e una canzone dei Beatles : “Imagine” , definisce al meglio la nostra epoca. Ma queste letture sono giuste?  O un po' inquietanti ? Al prossimo post la risposta.





[3] La storiografia è in senso letterale la descrizione (in greco graphia, da graphè, "descrizione") della storia e comprende tutte le forme di interpretazione, dalla trattazione e trasmissione di fatti e accadimenti della  vita degli individui e delle  società del passato storico all interpretazione che ne danno gli storici. Tra le discipline scientifiche e letterarie, la storiografia è forse quella più ostica da definire, poiché il tentativo di  scoprire e conoscere  gli eventi accaduti nel passato, formulandone un resoconto ( logos)   intelleggoibile, implica necessariamente l'uso e l'influsso di numerose discipline ausiliarie.


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