Uno dei problemi che ha
attraversato i cinquant’anni trascorsi dalla chiusura dal Concilio
Vaticano secondo è certamente l’interpretazione
che da molte parti si tenta di fare.
Questo problema deriva dal fatto che tante sono le posizioni:
fu o non fu un concilio “dogmatico” nel tradizionale significato del termine, piuttosto che un Concilio “pastorale” ? [1] O fu un Concilio problematico perché divise
anziché unire?[2]
Potremmo fare un elenco
corposo di tutte le prese di posizione che si sono alternate sull’argomento, nel campo editoriale di
questi anni, senza giungere a una conclusione precisa; meglio rivolgersi a chi
nel Magistero della Chiesa è abilitato a dire parole certe sull’ermeneutica (interpretazione) di un
argomento di questo tipo.
Come
riporta Wikipedia: “… a differenza degli
altri Concili, il Vaticano II pone un problema di interpretazione. Questa
particolarità può essere fatta derivare dall'intendimento stesso del Concilio
che non fu di definire «un punto o l'altro di dottrina e disciplina» ma di
«rimettere in valore e in splendore la sostanza del pensare e del vivere umano
e cristiano»[3].
A
quest'intendimento seguì una mancanza di definizioni dogmatiche, da cui è sorto
un dibattito sulla natura dei documenti e sulla loro applicazione.[4] Tutti i
Concili ecumenici hanno avuto i loro storici che hanno contribuito a fornire
un'interpretazione partendo dalla loro visuale[5],
tuttavia solo per il Concilio Vaticano II si sono affrontate due ermeneutiche
contrarie.[6] Secondo
alcuni critici la presenza di ermeneutiche contrapposte può essere imputata ad
un'ambiguità o ambivalenza dei documenti conciliari.[7]
…”
Queste due ermeneutiche
sono indicate sotto i nomi di ermeneutica della continuità e della
discontinuità, la prima fatta propria
dal Magistero, la seconda autoreferenziale.
Infatti nell’Ermeneutica della continuità possiamo
annoverare tutti i successori di Giovanni XXIII, che del Concilio non vide la
fine e quindi non poté commentarne le interpretazioni che ne seguirono: Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco.
·
Paolo
VI nel 1966, ad un anno dalla chiusura del
Concilio, evidenziò due tendenze interpretative considerate errate:
“… E
[...] sembra a Noi doversi evitare due possibili errori: primo quello di
supporre che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo rappresenti una rottura con
la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch'esso sia tale
novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva
emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da
quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato [...] E
altro errore, contrario alla fedeltà che dobbiamo al Concilio, sarebbe quello
di disconoscere l'immensa ricchezza di insegnamenti e la provvidenziale
fecondità rinnovatrice che dal Concilio stesso ci viene “
E le sottolineò ancora
nel 1972, il 29 giugno:
“…Non
ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a
parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e
chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne
invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze,
ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla
scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo
fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece
la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente
e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: "Non so,
non sappiamo, non possiamo sapere". La scuola diventa palestra di
confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per
poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare
tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto
esaltato i progressi del mondo moderno. Anche nella Chiesa regna questo stato
di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di
sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di
tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci
distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di
colmarli”.
E ancora nel 1977 a
Jean Guitton:
«C'è
un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in
questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel
Vangelo di san Luca: "Quando il Figlio dell'Uomo ritornerà, troverà ancora
la fede sulla Terra?". Capita che escano dei libri in cui la fede è in
ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino
strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta il Vangelo
della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di
questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi
sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce,
quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra
talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che
questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il
più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che
sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia». (8 settembre 1977).
·
Giovanni
Paolo II il 4 marzo del 1979 dice nella “Redemptor hominis”, riconoscendo
apertamente come la Chiesa inizi con la discesa dello Spirito Santo sugli
Apostoli e su Maria nel Cenacolo e non come alcuni fantasiosi interpreti “dopo”
il Concilio Vaticano II:
(omissis)
“…lasciandomi
guidare dalla fiducia illimitata e dall'obbedienza allo Spirito, che Cristo ha
promesso ed inviato alla sua Chiesa. Egli diceva, infatti, agli Apostoli alla
vigilia della sua passione: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non
me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma, quando me ne sarò andato, ve lo
manderò»
.
«Quando verrà il Consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità
che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete
testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio»
.
«Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta
intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi
annunzierà le cose future”.
(omissis)
“…Affidandomi pienamente allo Spirito di
verità, entro, dunque, nella ricca eredità dei recenti pontificati. Questa
eredità è fortemente radicata nella coscienza della Chiesa in modo del tutto
nuovo, non mai prima conosciuto, grazie al Concilio Vaticano II, convocato e
inaugurato da Giovanni XXIII e, in seguito, felicemente concluso e con
perseveranza attuato da Paolo VI, la cui attività ho potuto io stesso osservare
da vicino. Fui sempre stupito dalla sua profonda saggezza e dal suo coraggio,
come anche dalla sua costanza e pazienza nel difficile periodo postconciliare
del suo pontificato. Come timoniere della Chiesa, barca di Pietro, egli sapeva
conservare una tranquillità ed un equilibrio provvidenziali anche nei momenti
più critici, quando sembrava che essa fosse scossa dal di dentro, sempre mantenendo
un'incrollabile speranza nella sua compattezza. Ciò, infatti, che lo Spirito
disse alla Chiesa mediante il Concilio del nostro tempo, ciò che in questa
Chiesa dice a tutte le Chiese non può - nonostante inquietudini momentanee -
servire a nient'altro che ad una ancor più matura compattezza di tutto il
Popolo di Dio, consapevole della sua missione salvifica.
Proprio
di questa coscienza contemporanea della Chiesa, Paolo VI fece il primo tema
della sua fondamentale Enciclica, che inizia con le parole Ecclesiam Suam, ed a
questa Enciclica sia a me lecito, innanzitutto, di far riferimento e collegarmi
in questo primo e, per così dire, inaugurale documento del presente
pontificato. Illuminata e sorretta dallo Spirito Santo, la Chiesa ha una
coscienza sempre più approfondita sia riguardo al suo ministero divino, sia
riguardo alla sua missione umana, sia finalmente riguardo alle stesse sue
debolezze umane: ed è proprio questa coscienza che è e deve rimanere la prima
sorgente dell'amore di questa Chiesa, così come l'amore, da parte sua,
contribuisce a consolidare e ad approfondire la coscienza. Paolo VI ci ha
lasciato la testimonianza di una tale coscienza, estremamente acuta, della
Chiesa. Attraverso le molteplici e spesso sofferte componenti del suo pontificato,
egli ci ha insegnato l'intrepido amore verso la Chiesa, la quale - come afferma
il Concilio - è «sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e
dell'unità di tutto il genere umano”
·
Benedetto
XVI nel 2005:
Il 22
dicembre 2005, in un discorso ai membri della Curia romana, ha espresso una chiara posizione su
questo argomento, sostenendo la cosiddetta ermeneutica della continuità. Egli, seguendo con più vigore la
linea tracciata dai suoi predecessori, ha testualmente affermato l'erroneità
dell'opinione secondo la quale il Concilio Vaticano II avrebbe dato vita ad una
sorta di "rivoluzione" all'interno della Chiesa che autorizzerebbe a
mutare, rispetto al passato, il costante insegnamento del magistero in materia di dottrina o di fede.
Di conseguenza, l'unica interpretazione lecita dei documenti del Concilio Vaticano II, deve comunque procedere in assoluto
accordo, rispetto al contenuto ed allo spirito delle precedenti proposizioni
che hanno dato vita al "depositum
Fidei" proprio alla tradizione cattolica: [9]
“ Il Concilio
Vaticano II,
con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi
essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto
alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece
mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. La
Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa,
cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue “il suo
pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”,
annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga”
E ancora:
“…Perché la
recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in
modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio
o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di
lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che
due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra
loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più
visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che
vorrei chiamare "ermeneutica della discontinuità e della rottura";
essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di
una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'"ermeneutica
della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico
soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel
tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo
di Dio in cammino…”
E
ancora:
“ L'ermeneutica della discontinuità
rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa
postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero
ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato
di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora
trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in
questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma
invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi
rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in
conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi
rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua
novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo
spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l'intenzione più profonda,
sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire
non i testi del Concilio, ma il suo spirito.”
Il 10 marzo 2010 ha ribadito questa convinzione, affermando
che:
“ Dopo il Concilio Vaticano II
alcuni erano convinti che tutto fosse nuovo, che ci fosse un'altra Chiesa, che
la Chiesa pre-conciliare fosse finita e ne avremmo avuta un'altra, totalmente
"altra". Un utopismo anarchico! E grazie a Dio i timonieri saggi
della barca di Pietro, papa Paolo VI e papa
Giovanni Paolo II,
da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall'altra, nello stesso
tempo, hanno difeso l'unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa
di peccatori e sempre luogo di Grazia” [10]
Infine
·
Papa
Francesco : dalla lettera del 19 novembre 2013 che nomina del
Cardinale Brandműller quale inviato speciale di
Papa Francesco per le celebrazioni del 450° anniversario del Concilio di
Trento (1463) si legge tra l'altro:
“…
Per ispirazione e suggerimento dello Spirito Santo, interessò loro moltissimo
che il sacro deposito della dottrina cristiana non fosse solo custodito, ma
risplendesse più chiaramente, affinché l’opera salvifica del Signore venisse
diffusa in tutto il mondo e venisse esteso il Vangelo in tutta la terra.
Dando
ascolto senza dubbio allo stesso Spirito, la Santa Chiesa di questo tempo
ripete e medita anche oggi la ricchissima dottrina tridentina.
Infatti
“l’ermeneutica della riforma” che il Nostro Predecessore Benedetto XVI
descrisse nell’anno 2005 alla Curia Romana si riferisce al Concilio Vaticano
non meno che al Tridentino. Certamente questo modo di interpretare pone sotto
una luce più nitida l’unica natura luminosa della Chiesa che lo stesso
Benedetto XVI attribuì ad essa: “è un soggetto che, nel scorrere dei secoli,
cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto
del Popolo di Dio in cammino…”
L’intero testo si può
leggere al link:
E per concludere ecco
il Testo di Papa Francesco proveniente dalla pagina :
http://it.radiovaticana.va/news/2013/04/16/il_papa:_concilio,_opera_dello_spirito_santo,_ma_c%C3%A8_chi_vuole_andare/it1-683211
del sito Radio Vaticana e pronunciato a Santa Marta nel giorno del compleanno di Benedetto XVI, il 16 aprile 2013:
del sito Radio Vaticana e pronunciato a Santa Marta nel giorno del compleanno di Benedetto XVI, il 16 aprile 2013:
“….Per
dirlo chiaramente: lo Spirito Santo ci dà fastidio. Perché ci muove, ci fa
camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. E noi siamo come Pietro nella
Trasfigurazione: ‘Ah, che bello stare così, tutti insieme!’ … ma che non ci dia
fastidio. Vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca … vogliamo addomesticare
lo Spirito Santo. E quello non va. Perché Lui è Dio e Lui è quel vento che va e
viene e tu non sai da dove. E’ la forza di Dio, è quello che ci dà la
consolazione e la forza per andare avanti. Ma: andare avanti! E questo da
fastidio. La comodità è più bella”.
Oggi
– ha proseguito il Papa – sembra che “siamo tutti contenti” per la presenza
dello Spirito Santo, ma “non è vero. Questa tentazione ancora è di oggi. Un
solo esempio: pensiamo al Concilio”:
“Il
Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa Giovanni:
sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo e ha
fatto quello. Ma dopo 50 anni, abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo
Spirito Santo nel Concilio? In quella continuità della crescita della Chiesa
che è stato il Concilio? No. Festeggiamo questo anniversario, facciamo un
monumento, ma che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare. Di più: ci sono voci
che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si
chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti
e lenti di cuore”.
Succede
lo stesso – aggiunge il Papa – “anche nella nostra vita personale”: infatti,
“lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica”, ma noi resistiamo.
Questa l’esortazione finale: “non opporre resistenza allo Spirito Santo. E’ lo
Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei
figli di Dio!”:
“Non
opporre resistenza allo Spirito Santo: è questa la grazia che io vorrei che
tutti noi chiedessimo al Signore: la docilità allo Spirito Santo, a quello
Spirito che viene da noi e ci fa andare avanti nella strada della santità,
quella santità tanto bella della Chiesa. La grazia della docilità allo Spirito
Santo. Così sia”.
L’ermeneutica della
discontinuità tende a
dare valore al Concilio in quanto evento, anche in considerazione di
alcune caratteristiche particolari del Vaticano II: l'assenza di uno scopo
storico determinato, il rigetto degli schemi preparatorii, l'elaborazione
assembleare dei documenti e anche la percezione del Concilio come evento
cruciale da parte dell'opinione pubblica. Questa ermeneutica mira a valorizzare
non soltanto i documenti approvati dal Concilio, ma anche i dibattiti interni
all'assemblea e la percezione del Concilio all'esterno, da parte dei fedeli.[12]
I
sostenitori dell'ermeneutica della discontinuità sono rappresentati dalla
cosiddetta "scuola di Bologna" diretta da Giuseppe Alberigo, un allievo di Giuseppe Dossetti, autore di una "Storia del Concilio Vaticano
II" in cinque volumi. Alla scuola di Bologna appartengono anche Giuseppe Ruggieri, Maria Teresa Fattori e Alberto Melloni. Fuori dall'Italia
quest'impostazione è sostenuta da Yves Chiron, David Berger, John O'Malley, Gilles Routhier e Cristoph Theobald.[13]
Sostengono l'ermeneutica della
discontinuità, accompagnandola ad una serrata critica al Concilio, anche molti
gruppi tradizionalisti, legati soprattutto alla Fraternità San Pio X, e alcuni studiosi come il filosofo Romano Amerio[14]. Lo storico
Roberto de Mattei è
recentemente intervenuto nel dibattito con il libro “Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta”, in cui, senza
entrare nel merito della discussione teologica, sostiene sul piano storico
l'impossibilità di separare il Concilio dagli abusi postconciliari, isolando
questi ultimi come una patologia sviluppatasi su un corpo sano.
Credo che
l'ermeneutica della discontinuità abbia una grossa ipoteca alla sua radice sia
tra i sostenitori dell’una o dell’altra
scuola, infatti con un breve sillogismo
si può concludere:
·
se è vero che la Successione
Apostolica nella Chiesa Cattolica non è
mai venuta meno nei venti secoli di Cristianesimo, e tanto meno nel secolo XX,
·
se è vero che il Concilio Vaticano I°
ha sancito l’infallibilità papale (ex cathedra),
·
allora
hanno ragione Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco, ad
affermare con forza l'ermeneutica della
continuità, ed è in questa direzione che si ha l’obbligo di proseguire.
[1] Stefano Fontana
: “Il Concilio restituito alla Chiesa…” –
(La fontana di Siloe – 2013).
[2] Cristina
Siccardi “L’inverno della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II…” ( Sugarco editore -2013)
[3] Giovanni XXIII,
Allocuzione del 14 novembre 1959, L'Osservatore Romano, 15 novembre 1959, cit.
da Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II.
Una storia
mai scritta,
Torino 2010, p. 127
[4] Roberto de
Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Torino 2010, pp. 6, 15
[5] Roberto de
Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Torino 2010, p. 6
[6] Roberto de
Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Torino 2010, p. 14
[9]
Benedetto XVI, Discorso ai Membri della Curia e della Prelatura
Romana per la presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005.