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lunedì 16 settembre 2013

Jan Vermeer di Delft - un caso misterioso




Negli anni successivi a quelli che concludono una crudele stagione di guerre europee ( guerra degli ottant’anni -1568/1648; guerra dei trent’anni – 1618/1648) nasce, intorno al  1632 Jan Vermeer di Delft (Olanda), pittore di grande talento di cui però si hanno notizie scarse e frammentarie. Le principali informazioni su di lui provengono dalla sua famiglia che possedeva una locanda a Delft, la Mechelen,  e dalla famiglia della moglie – Catherina Bolnes – sposata nel 1653.
Vermeer appartiene a quello che fu il “Goude eeuw”, il secolo d’oro olandese, il periodo  in cui, dopo le carneficine seicentesche, definite  impropriamente “guerre di religione” ( in quanto furono vere e proprie guerre di supremazia tra il nord e il sud dell’Europa, tra Francia e Impero Asburgico, in cui la religione fu presa a pretesto e paravento per
nasconderne i veri scopi del potere e che potrebbero meglio definirsi “La guerra di Secessione Europea”), il nord Europa si aprì ai commerci preparando la prima rivoluzione  industriale.
In questo contesto, sullo sfondo della grande pittura fiamminga, opera Vermeer, rievocando i limpidi e ordinati interni delle abitazioni di quella borghesia operosa che creò in quegli anni, appunto, il “secolo d’oro”.
Vermeer fu per secoli dimenticato o, meglio, poco conosciuto, probabilmente per le vicissitudini che seguirono la sua morte nel 1675. Infatti egli lasciò alla moglie e ai figli poco denaro e numerosi debiti per cui  Catherina Bolnes fu costretta a pagare i debiti presso il Consiglio della Città con la casa e i dipinti del marito. Diciannove dei quadri rimastile furono dati ai restanti creditori. La fine di basso profilo delle sue opere, probabilmente incise in modo negativo sulla sua fama.
 
Tecnica (da Wikipedia)Vermeer era in grado di ottenere colori trasparenti applicando sulle tele il colore a punti piccoli e ravvicinati, tecnica nota come pointillé, da non confondere con il pointillisme. Non ci sono disegni attribuibili con certezza all'artista e i suoi quadri presentano pochi indizi dei suoi metodi preparatori.
Lo studioso David Hockney, nel suo libro “Il segreto svelato”, con altri storici, sostiene che Vermeer facesse già uso della “camera ottica” per definire l'esatta posizione degli oggetti nella composizione dei dipinti e questo sembra essere supportato dagli effetti di luce e prospettiva.
Vermeer faceva largo uso del costosissimo blu oltremare, ottenuto con il lapislazzulo, non solo per particolari blu, ma anche per ottenere altre sfumature di colore. La sua tecnica punta ad una resa più vivida possibile, con effetti, soprattutto di colore, che egli ricerca con un interesse quasi scientifico, considerando il soggetto una sorta di espediente: "le pitture di Vermeer sono vere nature morte con esseri umani”[1]

Nelle sue opere è dunque presente una eccezionale unità atmosferica. "La vita silenziosa delle cose appare riflessa entro uno specchio terso; dal diffondersi della luce negli interni attraverso finestre socchiuse, dal gioco dei riflessi, dagli effetti di trasparenze, di penombre, di controluce..."[2]

David Hockney, rifacendosi ai numerosi studi sull'utilizzo di strumenti ottici nella Pittura fiamminga, sostiene che Vermeer, come molti altri pittori della sua epoca, facesse largo uso della camera oscura per definire l'esatta fisionomia dei personaggi raffigurati e la precisa posizione degli oggetti nella composizione dei dipinti. Secondo la "tesi Hockney-Falco" (dal nome del pittore inglese e del fisico americano Charles M. Falco, che l'hanno resa celebre), l'utilizzo di questo strumento ottico giustificherebbe ampiamente la mancanza di disegni preparatori precedenti ai dipinti di straordinaria precisione "fotografica" e fisiognomica di molti artisti fiamminghi, come Van Eyck, e successivamente di epoca barocca, come Caravaggio o Velázquez, ed appunto dello stesso artista olandese. Ma soprattutto, secondo tale tesi, l'uso della "camera oscura" spiegherebbe anche alcuni dei sorprendenti effetti di luce dei quadri di Vermeer, in particolare i curiosi effetti "fuori fuoco" che si riscontrano in taluni dei suoi capolavori, dove alcuni particolari sono perfettamente a fuoco ed altri no, con un tipico effetto riscontrabile nella moderna tecnica fotografica.[3]
 

Il “Caso van Meegeren”
         Fonti:

Han Van Meegeren (Deventer, 10 ottobre 1889Amsterdam, 30 dicembre 1947) costituisce uno dei casi più emblematici e misteriosi del mercato dell'arte, essendo stato scoperto come il più abile falsario di ogni tempo solo dopo la sua confessione.

I suoi quadri, così fedeli nelle tecniche, nell’esecuzione, nella datazione delle tele (usava sempre tele seicentesche di vecchi quadri, riciclate) misero perfino in dubbio, agli inizi del XX° secolo, l’esistenza di Vermeer, o, per lo meno, mettendo in discussione la maggior parte delle sue opere, gettò nel panico collezionisti, antiquari, galleristi e musei.

Han Van Meegeren da giovane venne considerato un artista fallito. Apprese le tecniche di falsificazione da Theo Van Wijngaarden, famoso restauratore e falsario operante ad Amsterdam[2]. Affascinato dalla pittura olandese del Seicento e in particolare da Vermeer, si esercitò a lungo ricopiando fedelmente gli originali. Si impadronì così non solo delle tecniche, ma anche dello spirito con cui Vermeer dipingeva gli interni, le nature morte o i drappeggi. Per i suoi falsi, recuperò vecchie tele del '600, prive di valore artistico, da cui raschiava accuratamente il colore. Non commise mai l'errore di copiare opere di Vermeer esistenti: creò invece dipinti nuovi, mai visti da nessuno, con aderenza stilistica e tematica, riuscendo ad abbindolare tutti i critici, convinti di trovarsi al cospetto di eccezionali capolavori che andavano ad arricchire la storia dell'arte.

L'abilità di Han Van Meegeren, da sola, non sarebbe bastata ad ingannare gli esperti, se egli non avesse avuto anche l'accortezza di procurarsi materiali adoperati trecento anni prima e di evitare pennelli prodotti nel XX secolo. Inseriva con cura della polvere nel falso appena terminato per provocare la claquelure (lo spontaneo reticolo di piccole crepe, tipico delle tele ad olio invecchiate). Conosceva inoltre perfettamente il trattato di De Vild sulle tecniche e i materiali adoperati da Vermeer e faceva spesso uso del raro pigmento blu oltremare, ottenuto dai preziosi lapislazzuli e dell'olio di lillà[4].
Uno dei falsi di van Meegeren


Han Van Meegeren costituisce uno dei casi più emblematici e misteriosi del mercato dell'arte, essendo stato scoperto come il più abile falsario di ogni tempo solo dopo la sua confessione. Bizzarro e di temperamento incostante, da giovane lo si giudicava un artista fallito sebbene fosse un acuto e profondo conoscitore della pittura olandese del Seicento, affascinato in particolare da Jan Vermeer che, con Rembrandt, è stato certamente il più grande pittore nordico del XVII secolo, grazie ad uno stile straordinario caratterizzato da ampi interni luminosi e magiche atmosfere. Nato verso la fine dell'Ottocento, il falsario all'inizio si esercitò a lungo ricopiando fedelmente gli originali per impadronirsi non solo delle tecniche, ma persino dello 'spirito' e della raffinata sensibilità con cui Vermeer dipingeva gli interni, le nature morte, oggetti come bicchieri o brocche sulla tovaglia bianca; poi cominciò a rovistare nelle botteghe di modesti antiquari e rigattieri alla ricerca di vecchi quadri del '600 privi di valore da cui raschiava accuratamente il colore. Non commise mai l'errore di vendere le copie, sebbene perfette in ogni particolare, poiché sarebbe stato facilmente smascherato. Volle invece creare dei quadri nuovi che nessuno aveva mai visto: con una tale aderenza stilistica e tematica che tutti inconsapevolmente gridarono al miracolo, convinti di trovarsi al cospetto di eccezionali rinvenimenti... 'meravigliose scoperte' che arricchivano la Storia dell'arte e l'umanità intera di nuovi capolavori.
Han Van Meegeren non vendeva, quindi, copie o repliche ma interpretava, rivisitava i grandi maestri olandesi del Seicento, non solo Vermeer, con straordinaria immedesimazione, identificandosi perfettamente con la sensibilità pittorica e creativa che li aveva ispirati. Tuttavia questa dote fuori dal comune non sarebbe bastata ad ingannare gli esperti se non avesse avuto anche l'abilità di procurarsi materiali adoperati trecento anni prima, nonché la certosina pazienza di indurirli perfettamente, inserendo con cura della polvere nel falso appena terminato per provocare la claclure, ovvero lo spontaneo invecchiamento dei secoli. Inoltre, per dipingere, usava pennelli da barba, poiché i pennelli con peli di tasso dei vecchi maestri erano introvabili e se fosse stata individuata sul dipinto una sola traccia di pennello del XX secolo sarebbe stato immediatamente smascherato. Eppure talvolta abbandonava queste precauzioni, quasi a sfidare la sua stessa bravura come accadde per L'Ultima Cena, elaborata sopra un quadro di poco valore senza preoccuparsi di cancellarlo come si scoprirà - anni dopo - con una fotografia ai raggi X. Altre volte rischiava grosso usando formati diversi da quelli abitualmente adoperati da Vermeer, sebbene ne imitasse scrupolosamente la preparazione della tela che veniva fissata sul telaio con piccoli cunei di legno a testa quadrata posti a circa 9 cm. di distanza. Il grande falsario aveva anche scoperto come l'olio ricavato dai lillà potesse legarsi perfettamente alle sostanze dure con cui preparava i colori, tra queste faceva spesso uso del raro e costoso pigmento blu oltremare, ottenuto dai preziosi lapislazzuli. Conosceva a memoria il trattato di De Vild in cui si descrivevano minuziosamente tecniche e materiali adoperati da Vermeer. Paradossalmente proprio questo famoso esperto(De Vild) era stato fra i primi ad ingannarsi avallando inoppugnabilmente l'autenticità delle clamorose falsificazioni. Persino Abraham Bredius, il massimo luminare dell'antica pittura olandese, aveva definito La Cena di Emmaus (un falso) il più eccezionale dipinto di Vermeer, un capolavoro indiscutibile! Peccato che Vermeer in realtà non avesse mai eseguito tale soggetto. Nell'aprile del '38 la rivista Art News, commentando il quadro esclamava "ecco qui il ritegno classico di un Piero della Francesca!". Han Van Meegeren con le frodi si era arricchito, ma soprattutto vendicato di coloro che non lo avevano mai apprezzato come pittore di suoi quadri originali. Aveva persino venduto al capo delle SS naziste, Heinrich Himmler, dipinti falsi per un valore di cinque milioni e mezzo di fiorini, una cifra enorme per quel tempo. Proprio per questo nel 1945, alla fine della guerra, fu processato in Olanda per collaborazionismo con i nazisti - accusa per cui rischiava l'ergastolo - ma in quella circostanza rivelò per la prima volta di essere un falsario e di aver venduto ai tedeschi autentiche patacche. Nessuno volle credergli: un artista senza talento in grado di dipingere perfettamente nello stile, nella tecnica, nell'invecchiamento capolavori del Seicento? Impossibile! L'imputato chiese di dimostrarlo in aula e davanti ai giudici allibiti dipinse un Gesù nel tempio che gettò nel panico e nella costernazione critici ed esperti di tutto il mondo, i quali si vedranno costretti a revisionare tutta l'Opera di Vermeer e altri grandi maestri olandesi del XVII secolo. Un anno dopo, alla fine del 1946, Van Meegeren sarebbe morto all'età di 58 anni, portandosi nella tomba i segreti della sua genialità e lasciando in eredità agli studiosi i tanti dubbi che ancora oggi li assillano quando si apprestano a pubblicare un volume sulla pittura olandese del Seicento.
(www.ilcollezionistain.it/curiosita0105.htm)

Per il processo a van Meegeren vedere anche: http://www.youtube.com/watch?v=hZDlF7-fa9Y

 

 

 





[1] Ernst Gombrich, La storia dell'arte, tr. Maria Luisa Spaziani, 1ª ed. Torino, Einaudi, 1966; Milano, Phaidon Press, 2009. ISBN 978-07-148-57220
[2] ^ Le Garzantine, Arte, ed. 2002, pag. 1270.
3 David Hockney, Il segreto svelato: tecniche e capolavori dei maestri antichi, Milano, Electa, 2002. ISBN 88-435-8164-3