2016 anno bisesto

giovedì 26 febbraio 2015

Pascoli e Circhi

Stock Exchange - il Mercato
Neve artificiale

Pascoli in quota

Circo bianco
L'Europa e' nata anche sulle montagne, nei luoghi impervi delle catene montuose del continente dalle Alpi  ai Carpazi, dai Pennini inglesi fino agli Urali: una caratteristica unica che dovrebbe indurci a pensare prima che sia troppo tardi per le nostre tradizioni millenarie e la nostra civiltà..
Mentre, nei lunghi secoli del primo medioevo, la minaccia arrivava da mare e da terra con le invasioni e le migrazioni, gruppi sempre piu' numerosi di persone hanno cercato  la salvezza lungo i tracciati montani del morente Impero Romano e i sentieri in alta quota, trovando riparo tra valli ospitali difese da alti monti, portando con loro l'unica ricchezza che possedevano: gli animali domestici e soprattutto bovini e ovini.
Cosi' e' nato un luogo a noi famigliare, dato per acquisito da sempre, su cui mai ci siamo sognati di fermarci e pensare: il pascolo alpino.
Soffermandoci  a riflettere, invece, ci accorgiamo pero' che  nulla e'  meno naturale di un pascolo alpino, a cui l'usanza di quasi due millenni ci ha ormai abituato. 
Quale animale domestico, infatti, si sarebbe inerpicato su inesplorati e faticosi tratturi di sua iniziativa, tra foreste di conifere, lottando con gli animali selvatici e il fitto sottobobsco per trovare nutrimento? Nessuno. E' stato l'ingegno umano, spinto dal  pericolo, a ideare il pascolo  d'alta quota, a incanalare le sorgenti nei fontanili, a costruire malghe e recinti, a segnare sentieri relativamente sicuri con cippi e cappelle tra un agglomerato di case e un villaggio, a erigere rifugi e monasteri su passi sperduti, quasi sentinelle di un passaggio sicuro, a istituire quel sussurrato ma valido galateo - garanzia di una patria comune su quei sentieri - sintetizzato dall'ormai dimenticato saluto internazionale  nelle sue diverse declinazioni: "Grűss Gott".
Il pascolo montano ha  popolato le montagne più  impervie e ha costituito per lunghissimi secoli sia un formidabile strumento di civilta' sia l'economia del mondo alpestre, permettendo lo svolgersi della vita in luoghi  che, altrimenti, sarebbero rimasti inospitali e selvaggi, come purtroppo oggi stanno trasformandosi tante zone, per l'abbandono della civilta' alpestre e l'incalzare del pacchetto turistico del" tutto compreso".
Un'economia, quella montana, all'insegna dell'ecologia che non violentava le montagne, salvaguardandole, con opere di agricoltura e di pascolo, da smottamenti e frane e altri disastri naturali. Che rispettava fiumi e torrenti, manutenendone i letti, non deviandone il tracciato, in modo da impedire piene rovinose e alluvioni. Che rispettava l'inverno in tutte le sue forme di neve e ghiaccio, perche' - come diceva l'antico adagio: " sotto la neve, pane". E, rispettando l'inverno, difendeva il corretto svolgimento del clima e delle stagioni.
Pensiamo per un momento ad altre montagne in altri continenti, dove nessuno ha instaurato il pascolo  alpino. Pensiamo  alle Montagne Rocciose, ai Monti Appalachi o alle Ande, alle Ambe africane: distese di foreste incontaminate o di rocce  o di alte praterie che per migliaia di chilometri non offrono altro che silenzio disabitato. Non ci sono pascoli, non ci sono  rifugi, non c'e' quella solida rete di villaggi che fino a settant'anni fa costituiva un saldo tessuto montano di civilta' diffusa.
Purtroppo anche in Europa, con l'industrializzazione dell'economia della montagna -  reiventata perche' piu' remunerativa - si sono diradati i pascoli, svuotate le malghe, abbandonati all'incuria i letti dei fiumi  e i villaggi, ormai  ridotti a segni folkloristici, deviata e sequestrata l'acqua per dighe e " cannoni" da neve, occupati i territori da strutture turistiche di ogni genere.
E' arrivata la stagione del " circo bianco" e del " trekking", dove tutto e' in funzione uno sfruttamento artificiale e  intensivo del territorio secondo le regole del mercato.
Il risultato e' sotto i nostri occhi: l'assalto  settimanale al territorio, pendici disboscate, cementificazione di fiumi e torrenti, aumento del dissesto idrogeologico, perdita della bellezza incontaminata di un tempo ora che la montagna e' costellata da ogni genere di cartacce, lattine e spazzatura tra i boschi - spesso ridotti a discariche - e le nevi dell'alta quota. I villaggi sono diventate caricature folkloristiche della vita di un tempo, ma dietro di loro c'e' una nuova economia che non ha piu' nulla di ecologico: l'inverno e' forzatamente imbiancato dai cannoni perche' spesso il ciclo biochimico della montagna e' alterato e manca la neve per lo sci, l'estate pullula di turisti che cercano invano la genuinita' fittizia di una vita che non c'e' piu'.
E  l'assalto che si ripete  settimana dopo settimana, nei week end, mentre  il degrado avanza dietro la vernice di una modernita' abbandonata quando non " rende" piu' che costruisce una montagna nemica, selvatica e irta di pericoli.
Sembra  quasi una parabola: quella  dell'Europa che ha barattato un'intera civilta' per la logica del "mercato ad ogni costo".
Fermiamoci a rifletter, finche' siamo ancora in tempo, non e' mai troppo tardi per gestire con intelligenza un patrimonio di umanita' soffocato dall'impersonale mercato senz'anima e senza volto.
 
Andes  punta  arena


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