2016 anno bisesto

mercoledì 17 settembre 2014

Europa e radici - 2

  
Federico II di Prussia               Maria Teresa d'Austria

Quando Carlo VI, con la Prammatica Sanzione, abolendo la legge salica, permise alla figlia Maria Teresa di salire al trono del Sacro Romano Impero nessuna, tra le nazioni europee, ebbe nulla da obbiettare tranne il re di Prussia, Federico II, che voleva per se quel trono e che, negli anni, trascino' l'Europa in guerre inutili e sanguinose, come la guerra di Slesia (1740, appena divenuto re) e la guerra dei Sette Anni (1756),  foriere del peggio europeo che venne dopo.
Questa sua politica di aggressione, volta, nell'immediato, ad allargare i confini del suo piccolo regno ma in realtà protesa verso ben altri scopi imperiali, affondava le sue radici indietro nel tempo, quando, mascherata dalla Riforma Protestante e da Martin Lutero, deflagrava una terza volta - la prima era stata la lotta delle investiture, la seconda la guerra dei trent'anni culminata, nel 1620, con la sconfitta protestante della Montagna Bianca* - una delle questioni europea più spinose ( e non ancora ben messa a fuoco dagli storici): il tentativo di dare  al Sacro Romano Impero una guida di carattere  nordico e più "laica", staccata da Roma e dall'impronta costantinopolitana della nascita.
 Il  "loss von Rome", insomma, che riecheggerà più volte sulle labbra delle genti germaniche e nordiche.
La Pace di Parigi del 1763 portò a Federico II la Slesia superiore però lo costrinse al riconoscimento definitivo alla Prammatica Sanzione, lasciando agli Asburgo l'Impero: ma non fu che un armistizio.
Infatti dopo quella data, incoraggiate da quei "lumi" ( eredi del pensiero laico cinquecentesco) che dalla loro apparizione ben poco fecero per la pace in Europa, si succedettero rivoluzioni e guerre che guidarono  il nostro Continente attraverso una catena di eventi negativi fino ad introdurla nella barbarie del Novecento che ci siamo appena lasciati alle spalle.
E che ancora ci  pesa perché, ragionando con Gianbattista Vico, i corsi e i ricorsi della storia si fanno sentire. Che ne è rimasto, infatti oggi, dell'Europa  del Trattato di Roma, voluta da Adenauer e De Gasperi, nella UE di Maastrich con le sue leggi " illuminate" e i "compiti a casa" di Berlino?
La CECA e  il MEC del Trattato di Roma portarono prosperità, sviluppo e pace nel Continente. Il trattato di Maastrich ha aperto le porte a crisi economiche e monetarie di cui non si vede la fine. E pretende, ai suoi confini, ai confini di un Unione che ancora non ha riconosciuto le sue vere radici e quindi è solo un anonimo abbozzo, di dettare diktat in nome di un'Europa che non ha nessun primato morale perché è solo  un' Europa acefala, delle Monete e del Mercato.
Echi pericolosissimi di un passato non ancora  superato.
E tutto questo avviene quando si vuole dimenticare questo passato che - come ricorda Orwell, rischia di fare commettere gli stessi errori fatali  già fatti -  e di introdurre l'Europa ( che deve essere dall'Atlantico agli Urali e non quella asfittica e dimezzata della Finanza e delle Banche che si vuole circoscrivere alla sola parte occidentale)  in un lungo tunnel di conflitti e povertà, mentre alle sue porte ben altri pericoli storici si delineano.

                                De Gaulle.                    De Gasperi                    Adenauer
                                                               sognarono   la " vera" Europa

   
                                 


La battaglia della Montagna Bianca fu combattuta l'8 novembre 1620 e rappresentò uno scontro decisivo nel contesto della fase boema della Guerra dei Trent'anni. Essa si svolse su una collina (Bílá Hora, ormai compresa nel tessuto urbano della capitale ceca) vicino a Praga, tra le forze cattoliche dell'Imperatore Ferdinando II e della lega cattolica e le truppe boeme di Federico V del Palatinato. Fu la prima importante sconfitta protestante nella guerra e mise fine per secoli alla lotta per l'indipendenza della Boemia, intrecciata attorno a quella per la libertà di culto protestante[1].
^[ ]Witold Biernacki, Biała Góra 1620, FINNA, Gdansk 2006 pag.343

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