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domenica 28 luglio 2013

I "campi aperti" e altre considerazioni

Nei campi aperti le terre di ciascun agricoltore non solo non sono separate da siepi, ma le decisioni sopra le coltivazioni di ciascuna zona sono prese in comune tra vicini, nel rispetto delle  tradizioni.
Nei  campi chiusi, invece, ci sono differenze fisiche tra gli appezzamenti e ciascun agricoltore è libero di coltivare il terreno nel modo che più gli piace.
Dall' Illuminismo in poi si ha il passaggio di molte zone d' Europa da un sistema di campi aperti ad uno di campi chiusi.
Il fenomeno fu dato da un lato dalla convinzione che una agricoltura moderna e capace poteva  sfamare una popolazione che cresceva in modo esponenziale,  dall'altro che lasciare " libero" qualche appezzamento perché ne usufruissero i più bisognosi, non fosse " razionale", cioè competitivo.
Interesso'  dapprima l'Inghilterra  fin dal '600, poi gradatamente molti altri paesi compresa la Sardegna con l'editto delle chiudende.
Il sistema dei "campi aperti" fu il prevalente sistema agricolo in Europa dal Medioevo.

I "campi aperti" permettevano nel Medioevo un'economia di sopravvivenza  alle classi piu' povere. C'erano appezzamenti di terreno dove era possibile per chiunque raccogliere legna, mais, spighe di grano, verdura. Queste consuetudini dettate dal concetto di " condivisione", " solidarietà ", introdotto dal cristianesimo  diffuso in tutta  l'Europa, facevano di questo continente uno spazio sensibile  e gratuito ai bisogni primari dell'uomo. 
Con l'arrivo dell'illuminismo, della "ragione", questa consuetudine cessò.
Si voleva creare un Mondo Nuovo, un' Europa nuova.
Era, naturalmente, più "razionale" destinare ogni appezzamento a un'agricoltura intensiva ( che facesse "guadagnare" comunque) a scapito  di ciò  che non faceva far soldi ma andava incontro a chi aveva bisogno.
Questo è solo un piccolo esempio della cultura introdotta dall'Illuminismo e dalla rivoluzione industriale.
Cultura, combattuta nel XIX  e XX secolo dalle dottrine laburiste e socialiste in parte e da quelle cristiane in particolare, che, attraverso il contrasto di questa mentalità hanno  permesso ( dopo ben due guerre derivate proprio dall'egoismo di certe ideologie) un diffuso benessere nell'occidente durante la seconda meta del XX secolo.
Ma nel XXI secolo la tendenza che si delinea, in nome di una cultura finanziaria che vuole  sopra ogni cosa i "conti in pareggio" ( e che ricorda  la dottrina  di fine Ottocento in Italia,  della lira che doveva fare  "aggio" sull'oro, con  tutte le conseguenze della tassa sul macinato ...e degli interventi alla Bava Beccaris) sembra che l'Europa voglia dimenticare ancora una volta le necessita'  concrete dell'uomo in nome di  astratti " conti in regola" e di " efficienze finanziarie" .
E' questa l'Europa che vogliamo?

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